Il mistero della Trinità: un Dio che si lascia ospitare
“Perseverate nell'amore fraterno: non dimenticate l'ospitalità: alcuni praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”. (Eb 13, 1-2) Il riferimento implicito è all'esempio di ospitalità di Abramo alle querce di Mamre. Con questo gesto il patriarca, come glossa san Tommaso, pratica tre opere di carità (ospitare i pellegrini, dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati) e diventa un riferimento assoluto della possiblità di ospitare Dio “senza saperlo”. Forse l'allusione al mistero trinitario non risiede principalmente nel numero dei visitanti, ma nello stesso atteggiamento ospitale.
Gesú: un Dio ospitale
Infatti, questa cartteristica è propria di Gesú, come ha scritto Enzo Bianchi 15 giorni fa su un quotidiano italiano: Gesù è stato uno “straniero” che aveva come caratteristica l’essere ospitale: non aveva casa, ma la sua persona intera creava uno spazio di accoglienza, di ospitalità per tutti quelli che venivano a lui. (...) poveri, malati, stranieri, tutti trovavano in Gesù uno spazio di ospitalità, la possibilità di un incontro umano in cui si sentivano accresciuti, richiamati a un’umanizzazione, tutti gustavano cosa significhi la comunione con un altro uomo.
L'Eucaristia: ospitare un Dio ospitale
Con Gv 14 ci rendiamo conto dell'inattesa capacità che riceviamo di ospitare Dio: “No verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. “NOI” sono il Padre e il Figlio. “LUI” è colui che mi ama e osserva la mia parola”. Questo stupendo e sorprendente dono ci è dato nell'Eucaristia: con la santa comunione, ci è concesso “ospitare un Dio ospitale”.
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